Matteo Messina Denaro è finito, finalmente, in gattabuia.
E con lui i mille luoghi comuni di certa antimafia di facciata (che da oggi dovrà cercarsi un altro mestiere) e una datata oltre che stantìa prosa giornalistica che da vent’anni e forse più ha titolato a mitraglia e con rassegnata soccombenza: Terra bruciata attorno a Messina Denaro oppure l’usurato “cerchio che si stringe attorno alla primula rossa”.
Ebbene, da oggi non leggeremo più di cerchi sempre più soffocanti o di terre sempre più bruciate e nemmeno della prima rossa finalmente diventata ex.
Un bel risultato, dopo sei lustri di siffatti tormentoni, che ci porta all’odierno risultato di un boss di prima grandezza (l’ultimo degli stragisti) definitivamente rinchiuso nel posto che merita.
Oggi è già tempo di prime valutazioni sull’operazione dei Carabinieri del Ros anche se abbiamo piena consapevolezza del fatto che il bello dovrà ancora venire.
Da oltre un decennio questo giornale ha sempre messo in evidenza ciò che il procuratore aggiunto Paolo Guido ha confermato (rispondendo ad una precisa domanda della nostra Maristella Panepinto) che: “La mafia agrigentina ha grossa quota di responsabilità sulla latitanza Messina Denaro”.
Ed in effetti, la storia giudiziaria e mafiosa degli ultimi trent’anni ci racconta di rapporti privilegiati e strettissimi tra “Diabolik” – alias Matteo – e mafiosi agrigentini.
Ed anche di rapporti più datati che il padre dell’ex latitante, Mastro Ciccio ha intrattenuto con Leonardo Caruana, boss siculianese, ucciso il giorno delle nozze del figlio, ai vertici del clan transnazionale dei Caruana e Cuntrera.
Divennero compari negli anni sessanta quando Caruana venne mandato al soggiorno obbligato a Castelvetrano. Ed i loro rispettivi figli, Matteo compreso, divennero amici fidati.
Identica rappresentazione viene riproposta con il rapporto amicale strettissimo tra il padre di Matteo Messina Denaro e Leonardo Sutera, a sua volta genitore di Leo, detto il professore, recluso da tempo e con un paio di condanne definitive per mafia, vero ambasciatore del castelvetranese e delegato ad avere rapporti con la mafia delle altre province siciliane nel tentativo di riorganizzare Cosa nostra dopo il massiccio intervento repressivo della magistratura.
Sul nome di Leo Sutera e sulla sua cattura ad opera della Polizia di Stato si scatenò una durissima polemica con il procuratore Teresa Principato che andò su tutte le furie quando il blitz “Nuova cupola” ha tolto di mezzo l’anello più importante di una catena che portava dritto a Messina Denaro. Una polemica che ancora oggi non si è sopita.
Leo Sutera, dunque (ma anche il suo subalterno Pietro Campo).
Che il pentito della Valle del Belice Calogero Rizzuto, detto “cavigliuni”, già capo mandamento di Sambuca di Sicilia, colloca così in cima ai pensieri mafiosi dell’allora rampante mafioso trapanese: P.M.: Quanta influenza aveva allora Messina Denaro su Agrigento?
Rizzuto: Eh, ce l’ha, poi proprio per questi paesi Matteo ha un occhio di riguardo, per Santa Margherita, Sambuca, è attaccato a questi paesi. Con Campo, con mio cugino (Leo Sutera ndr), almeno dai tempi di suo padre…
P.M.2: Campo chi, di nome? Rizzuto: Pietro Campo, c’era un’amicizia e quindi si sono sempre rispettati, ha visto sempre di buon occhio questi paesi lui”.
E poi c’è Salvatore Fragapane l’ultimo boss della provincia di Agrigento designato direttamente da Salvatore Riina grazie anche alla mediazione proprio del rampollo di Mastro Ciccio. Quando Matteo si diede alla latitanza (primi anni 90) venne accolto in terra agrigentina proprio da Fragapane, latitante a sua volta, che lo portò nello stesso suo nascondiglio, una masseria di Casteltermini.
Ed in una conversazione tramite pizzini tra Messina Denaro e Bernardo Provenzano, così si esprime il boss trapanese: “Nel 1996/97 mi sono incontrato personalmente con l’amico Fragapane ed io dissi a lui che c’era questo progetto in provincia di Ag (l’apertura di supermercati Despar, ndr), dissi che volevo sapere nel caso la cosa andava in porto come mi dovevo comportare (pagare il pizzo alla cosca locale, ndr). La risposta dell’amico Fragapane fu che dato che la cosa interessava a me non c’era bisogno di niente e che mi dovevo considerare a casa mia. Lei sa che questi tipi di favore erano normali ed io con il Fragapane ero molto intimo”.
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