"Avremmo voluto celebrare il trentesimo anniversario della strage di via d'Amelio con una vittoria sulla mafia e quindi con la scoperta della verità per dare giustizia ai familiari e alle vittime.Purtroppo sarà anche quest'anno solo un appuntamento rimandato.Fin quando non si farà chiarezza sui tanti depistaggi, fin quando la politica non farà leggi antimafia dignitose della memoria e dell'operato dei magistrati e degli uomini delle forze dell'ordine che per lo Stato sono stati uccisi". Lo dice Salvatore Borsellino, fratello di Paolo il magistrato ucciso a Palermo con 5 poliziotti della scorta nella strage di via Mariano d'Amelio il 19 luglio 1992.
"Sono passati trenta lunghi anni senza verità - aggiunge - Sono stati celebrati numerosi processi ma ancora attendiamo di conoscere tutti in nomi di coloro che hanno voluto le stragi del '92-'93. Abbiamo chiaro che mani diverse hanno concorso con quelle di Cosa Nostra per commettere questi crimini ma chi conosce queste relazioni occulte resta vincolato al ricatto del silenzio. Ora chiediamo noi il silenzio. Silenzio alle passerelle. Silenzio alla politica. Perché invece di fare tesoro di ciò che in questi trent'anni è successo, ci accorgiamo che la lotta alla mafia non fa più parte di nessun programma politico. Anzi, alcuni recenti provvedimenti legislativi, come la cosiddetta riforma che introduce il principio dell'improcedibilità per numerosi tipi di reati e la cosiddetta riforma dell'ergastolo ostativo in discussione presso il Senato, fanno carta straccia degli insegnamenti di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.” "Ho 80 anni - dice all'Adnkronos - La speranza di conoscere la verità e di avere giustizia, di avere risposte dalla procura di Caltanissetta su chi davvero ha deciso l'uccisione di mio fratello, ormai è quasi svanita. Resta la rabbia e l'amore che mi fa ancora andare tra i giovani, a spiegare, raccontare. Perché siano loro, nel futuro, a chiedere ancora quella verità e quella giustizia che noi dopo 30 anni non siamo riusciti ad avere". Domani, Salvatore non sarà in via D'Amelio. "Non è una forma di protesta - spiega - qualche giorno fa sono risultato positivo al Covid e non potrò esserci. Spero di riuscire a collegarmi in remoto e poter leggere, come ho sempre fatto, la poesia 'Il giudice Paolo'".
Il legale della famiglia: “Magistrato ucciso prima dagli amici”
"La verità processuale è compiuta e purtroppo compromessa. A noi familiari di Paolo Borsellino non rimane che la verità storica". Luigi Trizzino, avvocato della famiglia e marito di Lucia la primogenita del giudice ucciso dalla mafia, è un fiume in piena dopo la sentenza del tribunale di Caltanissetta sul processo al depistaggio di via d'Amelio, considerato il più grande depistaggio della storia giudiziaria d'Italia. I tre imputati, tutti poliziotti del gruppo Falcone e Borsellino sono stati assolti o prescritti, l'aggravante mafiosa è caduta e, in attesa delle motivazioni, dal dispositivo si evince che depistaggio c'è stato, ma non per favorire Cosa nostra, bensì per avere un colpevole subito e dimostrare l'efficienza dello Stato. "Fermo restando la legittimità della posizione assunta dal collegio di primo grado, sono convinto che sia impugnabile la decisione di non considerare il favoreggiamento a Cosa nostra", ha commentato a LaPresse Fabio Trizzino oggi pomeriggio nell'atrio della biblioteca comunale di Palermo alla presentazione del libro del giornalista palermitano Umberto Lucentini "Paolo Borsellino. 1992... La verità negata".Un'occasione per parlare di mancate verità alla vigilia del trentennale della strage. Una vigilia che ha visto in piazza i giovani dei comitati studenteschi universitari sfilare in corteo e contestare duramente il neo sindaco Roberto Lagalla, accusato in campagna elettorale di non aver preso politicamente le distanze da condannati per mafia come Totò Cuffaro e Marcello dell'Utri. Che ha visto gli scout arrivati da tutt'Italia per le strade del centro città e la società civile alla funzione religiosa dell'arcivescovo di Palermo Corrado Lorefice in via d'Amelio. Oggi andrà in scena la liturgia del trentennale della strage. Ma non ci saranno i familiari, non parteciperanno alla commemorazione. "Questi trent'anni sono stati una via crucis per la famiglia Borsellino - sottolinea Trizzino - Vogliamo sapere cosa è successo in procura perché si è opposto l'allora procuratore Giammanco, vogliamo sapere perché è stata archiviata subito dopo l'indagine mafia appalti. Borsellino prima di morire disse 'io mi trovo all'interno di un nido di vipere'. Ecco, vogliamo sapere perché nessuno ha mai voluto guardare dentro quel nido di vipere".Un calvario non solo per i figli, ma anche per i nipoti. "Vanno tutelati soprattutto loro che non hanno vissuto l'immenso dolore della strage - ha concluso il marito di Lucia Borsellino - ma sono cresciuti con questa faticosa ricerca della verità, con i processi e con il depistaggio che ne sta mettendo a dura prova la fiducia nelle istituzioni"
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